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Intervista

Olimpia Zagnoli

Tra le parole di ‘Venus’ del gruppo Television e le pagine autobiografiche dello scrittore americano John Fante, nascono le illustrazioni della giovane artista Olimpia Zagnoli, che ha costruito la propria carriera su forme, pattern e colori super pop. Per conoscere Olimpia e la sua storia, non ci resta che ripercorrere insieme le sue orme…

Olimpia, quando hai realizzato di voler intraprendere una carriera artistica?

Non c’è stato un momento rivelatore. Credo di aver sempre nutrito una curiosità di tipo visivo e una predisposizione a esprimermi con l’immagine.

Olimpia Zagnoli

Ho vissuto a Reggio Emilia fino ai sei anni e mi sono poi trasferita a Milano. Della mia vita emiliana, ricordo il meraviglioso asilo “La Villetta”, dove ho per altro imparato molte cose che ricordo ancora vividamente: i giri in bici sui ciottoli del centro, i cappelletti in brodo a merenda, le Feste dell’Unità e, soprattutto, il senso civico…

Tornando alla mia prima domanda, qual è stato il momento più importante della tua carriera?

A essere sincera, non saprei. Se ripenso alle esperienze vissute, vedo gli ultimi anni come un susseguirsi continuo di progetti e collaborazioni più o meno interessanti, fonte di crescita tanto personale quanto artistica. Ovviamente, i momenti stressanti si alternano a quelli più tranquilli, ai momenti di ricerca o ispirazione.

Hai studiato illustrazione nella sede milanese dello ‘IED-Istituto Europeo di Design’. Nell’ambito della formazione artistica, cosa miglioreresti?

Il problema di queste scuole di formazione artistica è che sono tecniche, troppo tecniche. Spesso, si trascurano gli aspetti fondamentali, ovvero la cultura generale, i riferimenti visivi, l’immersione nel mondo reale. Quando mi capita di insegnare, mi accorgo che i lavori più interessanti sono realizzati da persone che hanno intrapreso dei percorsi alternativi a quello dell’illustrazione, perché nell’attingere da mondi diversi e lontani interpretano la realtà in maniera unica.

Detto ciò, quali difficoltà hai dovuto affrontare lungo il tuo percorso di affermazione?

Come tutti, ho dovuto capire e imparare a gestire quegli aspetti tecnici e burocratici che ignoravo completamente e, per altro, non immaginavo essere parte integrante del lavoro da freelance. Spesso, mi trovo sommersa da fatture da compilare, e-mail e telefonate a cui rispondere…in queste situazioni, trovare il tempo per disegnare è quasi impossibile!

A quattro mani con tuo padre, il fotografo emiliano Miro Zagnoli, hai fondato il marchio ‘CLODOMIRO’, un brand inclusivo che tratta sia l’amore che l’erotismo. Come potremmo descrivere i vostri prodotti? E i vostri compratori, invece?

Abbiamo lanciato CLODOMIRO con l’idea di lavorare insieme a un progetto che avesse origine dal nostro interesse per il design, ma lo affrontasse in modo leggero e ‘casalingo’. L’erotismo è stato scelto come punto di partenza, ma in realtà si parla spesso di amore in senso più ampio. I nostri prodotti sono realizzati con cura e, per ogni oggetto, collaboriamo con realtà artigianali (per lo più, italiane), utilizzando il nostro gusto come bussola. I nostri compratori sono persone molto ironiche, che sanno cogliere la natura del progetto, apprezzandone i riferimenti culturali. Non sono dei ‘consumisti impazziti’, ma sanno attendere l’uscita dei nuovi prodotti.

Hai lavorato per diverse realtà internazionali (fra queste, Apple, Fiat e Barilla), ma qual è stata l’esperienza lavorativa più emozionante?

Cito spesso l’esperienza con l’MTA Arts and Design di New York City, che mi ha invitato a creare un poster per la metropolitana di New York, come una delle più coinvolgenti. L’immagine è stata affissa nei treni e nelle banchine del sistema metropolitano e ogni giorno migliaia di persone ci sono passate davanti. Molte sono per altro state le mail che ho ricevuto dai pendolari e dagli avventori occasionali. È stato a dir poco emozionante stabilire un contatto con tutte queste persone attraverso un progetto che è stato realizzato nella solitudine del mio studio milanese.

E qual è stata invece una sfida, un’esperienza che ti ha messo a dura prova?

A essere sincera, ogni volta che incontro dei clienti irrispettosi sono messa a dura prova. Tutti quei clienti che pretendono modifiche su modiche e non si fidano del giudizio altrui. Quelli che, davanti a un rifiuto, insistono ripetutamente. Quelli che pensano di avere un progetto geniale fra le mani e tu non veda l’ora di farne parte. Quelli che non pagano…

Cosa non può mancare nella tua borsa?

Penne, rossetti e…carte di caramella!

Hai realizzato, in tandem con il brand italiano Marella, una capsule collection intitolata ‘OZFEVER’, che la Society of Illustrators ha recentemente premiato. Ci parleresti di questo tuo progetto?

OZFEVER è la terza collezione realizzata in tandem con Marella. Questa capsule collection nasce dal nostro voler celebrare l’ironia e il coraggio femminile con un’esplosione di pattern variopinti. La capsule collection OZFEVER, che si compone di T-shirt, pantaloncini, camicie, gonne a ruota, borse e occhiali da sole, non è altro se non l’esempio più lampante di come la collaborazione con Marella sia finora stata molto serena e proficua, con una grande voglia di sperimentare!

Cosa dimentichi sempre di mettere in valigia?

Il pigiama!

A quattro anni, hai conosciuto l’artista statunitense Keith Haring, il quale ti regalò una piccola spilla…la conservi ancora?

Sì, certo. Vista la mia paura di perdere l’originale, ne ho anche una copia attaccata sul cappotto.

Un augurio per il futuro della scena creativa italiana?

Spero ci siano meno copie delle copie delle copie e più artisti che siano pronti a sperimentare nuove forme o nuovi linguaggi visivi.

Cito spesso l’esperienza con l’MTA Arts and Design di New York City, che mi ha invitato a creare un poster per la metropolitana di New York, come una delle più coinvolgenti. L’immagine è stata affissa nei treni e nelle banchine del sistema metropolitano e ogni giorno migliaia di persone ci sono passate davanti. Molte sono per altro state le mail che ho ricevuto dai pendolari e dagli avventori occasionali. È stato a dir poco emozionante stabilire un contatto con tutte queste persone attraverso un progetto che è stato realizzato nella solitudine del mio studio milanese.